Archivio | marzo, 2011

I sakura e il sindaco

31 Mar

A Tokyo, ma forse non solo qui, c’è uno strano rapporto tra i sakura e i cimiteri: dove ci sono questi ultimi quasi certamente trovi i primi. Pensiero affettuoso verso i dipartiti? Non lo so. Comunque mi piace vedere che anche i più indaffarati salary man rallentano il loro trotterellare quando vedono i primi boccioli schiusi, li guardano quasi a bocca aperta, soddisfatti, consolati: anche quest’anno la natura non ha tradito l’uomo, nonostante tutto.
Il piacere per i ciliegi in fiore è un gusto acquisito. Appena arrivato in Giappone non me lo spiegavo, tutto sommato sono petali, dicevo. Invece adesso ne vado matto, mi piace aspettarli, guardarli, vedere come si dissolvono rapidamente. Che sia l’età? Di questo passo, arrivato verso la cinquantina passerò tutto l’anno nell’attesa malata di questi dieci giorni rosa di primavera.

Poco fa, guardando il telegiornale, per poco non mi veniva un colpo: dicevano che il sindaco di Tokyo, nel quadro della austerità a cui ci si deve attenere, ha disincentivato gli hanami (i picnic sotto i ciliegi in fiore, la mia ragione di vita per questo mese). Cioè, la notizia non è molto chiara, ma sembra che non ci saranno le illuminazioni serali e gli eventi di contorno. Capisco il risparmio energetico e la autoregolamentazione, ma penso che tutti abbiano diritto a una valvola di sfogo come la festa dei sakura, che poi per me si può fare sia di giorno che al buio come si è sempre fatta. E dai, Ishihara, rilassati un po’ anche tu, ti teniamo il posto sul telone blu.

I pagamenti delle fatture precedenti sono regolari. La ringraziamo.

31 Mar

 

Fuurin

30 Mar

Che strano, stasera c’è un po’ di brezza e nella mia via si sentono risuonare almeno un paio di fuurin. Sono quelle campanelle di vetro che i giapponesi mettono alla finestra in estate per percepire anche con le orecchie il poco fresco che entra in casa. (Se pronunciate questa parola fate attenzione ad allungare bene la u, altrimenti direte “relazione extraconiugale”). Il mio fuurin rimane dentro la stanza almeno fino a giugno, e l’unica volta che ha vibrato tanto da suonare in inverno è stato durante il grande terremoto. Stasera c’è stata un’altra scossa di assestamento che non mi ha fatto piacere.

Non so se mi piace più tanto il suo tintinnare, ormai, ma forse mi ci riabituerò.

E tu, dov’eri?

30 Mar

Per molti questa settimana è stata un’occasione per rivedere amici e conoscenti, per passare del tempo insieme come prima. Tokyo è una città grande, e gli incontri, anche tra amici stretti, hanno cadenze piuttosto lasche: settimane o anche mesi. Il tema principale, quello con cui si apre la conversazione, parte dalla domanda: “Ma tu dov’eri in quel momento, cosa stavi facendo?”. Il momento sono le 14:46 dell’undici marzo. E si sentono storie tra il drammatico e il comico, a pensarci a posteriori.
Yumi era in un ristorante con un’amica, al quinto piano, avevano finito di pranzare, ma si stavano attardando con le chiacchiere. Durante la prima scossa si sono accucciate sotto il tavolo, mentre dalla cucina uscivano rumori di cadute fragorose di piatti, pentole e urla dello chef  “SPEGNI IL FUOCO, SPEGNI!!!!”. Finita la prima scossa, le due si alzano per andare a pagare ma il personale dice di aspettare, e fa bene perché arriva la seconda botta che non le trova per le scale.
Aki era sul treno fermo a una stazione che si trova su un ponte, sovrapensiero. Tutto traballa, lui sbatte la fronte su un apposito sostegno. Forte. E per parecchi secondi non si rende conto che il treno non è in marcia.
Minami era in un negozio di cellulari, e la commessa giovanissima che le stava illustrando le funzioni di un telefonino è entrata nel panico, ha abbandonato la forma rispettosa dovuta verso il cliente e si è tuffata sotto il bancone, terrorizzata. A scossa finita si è profusa in scuse che sono state, a quanto so, accettate.
Anche con la gente appena conosciuta è un argomento con cui scaldare l’atmosfera. “Hai avuto paura?” è un ottimo conversation starter, fa sentire che siamo tutti esseri fragili, fa percepire quel calore umano che qualche volta si dimentica, in una città che separa gli amici anche per settimane o mesi.

Eccoli

30 Mar

Finalmente l’aria si è intiepidita, la primavera incalza e io oggi ho fatto un giro in bicicletta nelle zone di Tokyo che mi mettono più a mio agio: Asakusa, Kuramae, Ueno.
Il numero di occidentali nella città è precipitato, e non si vedono turisti stranieri. Sono bastate poche settimane per cambiare gli sguardi dei giapponesi: adesso mi si guarda come una creatura rara, da salutare con un sorriso di complicità. E’ bastato così poco tempo per trasformare la capitale in un posto isolato, quasi provinciale.
Al parco di Ueno lo stato della fioritura è più indietro di quanto immaginassi, pochi ciliegi sono sbocciati, uno in particolare con i petali chiari, lattiginosi. Mentre passeggio alcuni studenti universitari mi chiedono di impersonare un turista per un progetto video che stanno realizzando, io mi faccio riprendere mentre chiedo indicazioni per andare al museo di storia naturale, quello davanti al quale c’è la statua di una balena in scala 1:1.
Durante le ore di luce naturale non sembra vero che questo mese il Giappone abbia passato i momenti più duri della sua storia postbellica. Troppo retorico paragonare lo spirito giapponese alla vitalità della natura che rifiorisce anche dopo un inverno lungo, sconvolgente e rigidissimo?

carico rosa

29 Mar

Fukushima, Fukushima, Fukushima, il nome di questo posto ormai trabocca dalle teste di tutti. Ma qui a Tokyo si è fatta primavera. Ieri sono tornato nel mio locale preferito di Ueno, con un amico abbiamo mangiato chili di pesce alla griglia, bevuto parecchio sake, quello che trabocca nella scatoletta di legno ed eventualmente anche sul tavolo, perché il gestore mi conosce e sa che deve esagerare. “Com’è andato il terremoto?” mi chiede “E le radiazioni?”, il tutto continuando a sorridere. Fa piacere riassaporare la normalità, sentire in lontananza la musica che ascolta il venditore di bento sotto casa mia, che quando comincia a chiudere, verso le due, si rilassa ascoltando il jazz.
Il parco di Ueno, ieri notte, faceva intravedere i rami colmi di boccioli pronti a fiorire, e sarà l’esplosione più piacevole di questo periodo, quella di petali rosa. Non vedo l’ora.

Fly-jin

28 Mar

E’ un termine molto in voga nelle ultime settimane tra gli stranieri, principalmente tra gli anglofoni, residenti a Tokyo e in Giappone. Usa la parola giapponese che significa forestiero (gaijin) modificandola per indicare quelli che se ne sono scappati rapidamente volando lontano dal paese. Il più delle volte è usata in termini denigratori, lasciando intendere che quelli che sono fuggiti sono dei vigliacchi, mentre chi è rimasto è fedele al paese che lo ospita e gli dà da vivere. Molti hanno cercato di tracciare questa linea, leggermente manichea, con cui separare i buoni dai cattivi. Non mi sogno nemmeno lontanamente di aderire a questa visione né per giudicare me stesso, né gli altri, e mi pare che i giapponesi, sempre poco inclini a sentenziare, non se ne curino molto. Probabilmente se fossi un impiegato sarei rimasto qui, confortato dalla presenza dei colleghi, ma sono un freelance totale, e tutti i miei impegni la settimana scorsa sono stati cancellati, non ho perso nemmeno un’ora di lavoro, anzi sono tornato dopo 5 giorni perché sabato avevo un impegno pregresso.
Ognuno ha la propria vita, le proprie ragioni, le proprie responsabilità e, per fortuna, una certa dose di libertà.

L’unica situazione che mi fa venire il dubbio è quando in alcune istituzioni molti dei dipendenti sono rimasti, mentre i responsabili se ne sono andati… com’era la storia del capitano e della nave?

Minaccia liquida

27 Mar

Ieri è stata scoperta nella centrale atomica una fuga di acqua il cui livello di radioattività è altissimo,  non si sa bene da dove esca e non si può capire nell’immediato perché le indagini sono troppo pericolose a causa delle radiazioni. Nel frattempo il livello di radioattività nell’aria è tornato ai livelli di normalità, nelle zone attorno a Tokyo, il che potrebbe sembrare contraddittorio. Mi pare di capire che finché le sostanza radioattive vanno nel mare, dovremmo stare tranquilli, ma le conseguenze? Chi ce la farà a mangiare il pesce del Pacifico d’ora in avanti?
Vorrei che in futuro si facesse chiarezza su tutta questa storia, e che i responsabili della sicurezza della centrale paghino, se ci sono state delle responsabilità.

Adesso alla televisione stanno trasmettendo un servizio che parla di un’isoletta che avrei voluto visitare quest’estate, ma non ho avuto tempo. Sembra che sia  stata completamente distrutta dal maremoto, e forse non ci andrò mai.

Anche stasera nel mio quartiere sono passati i banditori che invitavano a risparmiare sul consumo elettrico. La settimana prossima dovrebbero fiorire i ciliegi, chissà se riusciranno a distrarci da questo incubo.

voragini morali

27 Mar

Due giorni fa Yuki mi ha fatto leggere un articolo che parla della gestione dei lavoratori nelle centrali nucleari. E’ del 2003, lo ha scritto un corrispondente spagnolo di “El Mundo”, David Jimenez.
Questa è la versione in giapponese e questa quella in spagnolo. Se ne trovate una versione italiana, fatemela avere.
E’ confortante la preparazione e la cognizione di causa con cui scrive questo giornalista, che adesso sta documentando sempre per la stessa testata la situazione di Fukushima, sapendo bene di cosa parla.
La questione è semplice: per i lavori poco qualificati e pericolosissimi nelle centrali nucleari vengono impiegati poveri disperati, spesso ignari dei rischi che corrono, male addestrati e con protezioni insufficienti.
Se uno ha vissuto in Giappone con un minimo di curiosità, l’esistenza di questo mondo non è una sorpresa. Qualche tempo fa ho aiutato un fotografo che voleva saperne di più riguardo al mondo del lavoro precario nella zona di Tokyo, e siamo andati a intervistare sindacalisti, operatori sociali, volontari, disoccupati del degradatissimo quartiere di Sanya, monaci buddhisti che distribuiscono cibo. Il quadro che ne è uscito mi ha turbato, e in qualche modo ho cercato di non pensarci troppo in seguito. Il fatto è che -soprattutto dall’inizio dell’ultima crisi economica, ma il fenomeno è sempre esistito- molta parte dei lavori manuali e di fatica svolti in Giappone si basa sul caporalato e sul lavoro a giornata (hiyatoi). Naturalmente questo cosmo ai limiti dell’illegalità è gestito dalle organizzazioni criminali (Yakuza) che hanno sempre potuto contare su una massa di lavoratori dequalificati, disperati e facilmente manovrabili: massa che negli ultimi anni è andata ingigantendosi a causa della crisi. Non mi sorprende la facilità nel trovare gente disposta ad assorbire radiazioni sufficienti per varie vite, in cambio di una paga che altrimenti non potrebbe nemmeno sognare.
Questo meccanismo è un connubio talmente deprimente di cose che odio, che lo avevo ricacciato in un angolo nascosto della memoria. E penso che a molti faccia questo effetto, per questo non se ne parla, soprattutto in Giappone. In questo penso che il ruolo del reporter straniero possa essere prezioso per svelare i meccanismi malsani che i locali ormai ritengono “naturali”.
Poi, di fronte a operazioni come questa, continuo a pensare che non importa quanta carità fai, rimani un’organizzazione che si basa sulla vigliaccheria e che usa il sistema per stritolare i più deboli.

ritorno alla vita lavorativa

26 Mar

Sono riuscito a svegliarmi mezz’ora prima dell’appuntamento che avevo al lavoro, alle 14:00. Non capisco bene se sono vittima del jet-lag o della stanchezza indiscriminata, comunque l’importante è che la promessa di essere presente a Tokyo questo sabato è stata mantenuta. Mi sento sollevato.

Tokyo è molto diversa dal solito. Non è completamente trasformata, non è nemmeno prostrata, ma sicuramente ha un ritmo diverso. Il risparmio energetico l’ha resa buia, meno rutilante del solito, ma la cosa che mi colpisce di più è il livello bassissimo di decibel che propaga, il silenzio. Oggi ho attraversato due volte il semaforo di Shibuya, un flusso di persone che si incrociano nella confusione del centro della metropoli. I monitor che lo sovrastano sono spenti, e con loro il rumore diffuso dagli altoparlanti. Il risultato è che l’avviso sonoro che dice “è verde, attraversiamo la strada”, che prima sembrava un’eco lontana, adesso risuona fortissimo e tutti lo possono sentire.
Ho anche visto, sempre all’incrocio, dei ragazzi che avevano appoggiato il ghetto blaster (altrimenti detto boom blaster, un registratore portabile degli anni ’80) proprio lì, all’incrocio, e ballavano liberamente la break dance, approfittando della bonifica sonora del momento.
Insomma mi pare che tra gli effetti di questo risparmio energetico ci potrebbe essere una latinizzazione della gioventù nipponica.
Aspetto fiducioso l’aumento delle cene a casa, al posto delle bevute nei locali, e l’usanza del bottellon, cioè le bevute in strada a base di alcool scadente.