Archivio | novembre, 2011

Chiamatele, se volete, impressioni

25 Nov

Il professor Iwasaki insegna lingua e letteratura inglese all’università di Yokohama. Gli piace molto il bardo di Stratford-upon-Avon e il teatro in generale, quindi le sue lezioni trattano principalmente di arte che si svolge sulla scena. Ma la sua vera passione sono le operette del duo britannico Gilbert and Sullivan. Oltre a esserne un grande amante, partecipa agli allestimenti giapponesi di queste delizie ottocentesche, in particolare qualche anno fa con degli attori di kabuki ha messo in scena “The Mikado”, e a me è sembrato un cortocircuito molto gustoso: dei giapponesi che si godono l’esoticità dell’operetta britannica di più di un secolo fa che a sua volta è una visione esotica del Giappone stesso.
La settimana scorsa il professor Iwasaki mi ha invitato a tenere una lezione sul melodramma italiano ai suoi studenti, e poi mi ha invitato a pranzo in un ristorante tradizionale ottimo. Pochi giorni dopo mi ha mandato per posta un blocchetto di fogli su cui i partecipanti alla lezione hanno scritto i commenti e le impressioni: ha quasi la mole di un libro, scritto a mano con una calligrafia per pagina e tutto dedicato a me.

Vino di meti su un fricùt?

22 Nov

Avevo deciso di evitare altre friulanate, almeno per un po’, ma poi mi sveglio una mattina e in tv fanno un programma che parla di formaggi. E tra le ricette presentano lui: il frico.

Certo, la ricetta lascia a desiderare, anche la traslitterazione ha la c doppia, ma vedere le celebrità giapponesi che lo assaggiano fa un certo effetto.
Che il mondo si sia preparato all’invasione culturale friulana senza che ce ne accorgessimo?

Werner Herzog

20 Nov

È un regista o forse una persona che mi piace molto. Ha una caratteristica che credo accomuni tutti i veri grandi creatori: cambia i generi che usa per esprimersi, ma ogni sua opera si riconosce in modo inconfondibile. Amo molto i documentari in genere, a volte penso che possano essere una forma di racconto molto più efficace della fiction, ma è molto facile trovarne di brutti o noiosi. Quelli di Herzog non mi hanno mai deluso, anche quando si trattava di argomenti che temevo non mi avrebbero appassionato, alla fine la sua voce narrante in un inglese molto preciso, espressivo e marcatamente germanico mi ha risucchiato nelle elucubrazioni in cui guida chi guarda. Anche i libri di o su di lui che ho letto (in particolare La conquista dell’inutile) mi hanno trascinato in modo sognante.
Ieri ho visto “The cave of dreams”, un documentario con riprese bellissime di un posto mistico. Se vi dovesse capitare, dedicategli un’ora e mezza del vostro tempo, sicuramente dopo la visione la vostra percezione del tempo stesso potrebbe essere cambiata.

il gioco del pallone

16 Nov

Niente di meglio per spezzare la settimana di due ore di calcetto al mercoledì mattina. Con una giornata azzurra e senza nuvole come oggi, poi, me ne sarei rimasto fuori tutto il giorno.
E parlando di calcio, ieri c’è stato un avvenimento piuttosto bizzarro: la partita a Pyongyang tra Giappone e Corea del Nord. L’allenatore della squadra giapponese, poi, è un italiano dalla faccia simpatica, tale Zaccheroni. Ho visto le immagini dell’incontro e l’atmosfera mi pareva irreale: cinquantamila sostenitori locali, probabilmente precettati dal governo, e 150 giapponesi obbligati a non urlare, non sostenere la loro squadra. I nordcoreani, invece, hanno fatto un tifo indiavolato, con canti, bandieroni, sorrisi verso le telecamere. La cosa che ha scocciato veramente i giapponesi che hanno commentato il match, però, è stata l’esplosione di fischi e urla che ha praticamente coperto l’inno giapponese all’inizio, il terribile Kimi ga yo. Credo che i giapponesi possano a fatica concepire una mancanza di fair play di questo tipo, ma bisogna pensare che tra i due paesi non ci sono relazioni diplomatiche, il Giappone non riconosce il governo di Pyongyang e questo a sua volta esige ancora da Tokyo dei risarcimenti per la guerra. E poi più che una partita è stata una manifestazione propagandistica. In Corea del Nord nessuno sapeva dell’incontro, oltre agli invitati allo stadio, e lo hanno trasmesso in differita solo dopo che era finito con la vittoria della squadra di casa. La Corea del Nord è un paese la cui vita quotidiana è difficile da immaginare, credo.

La pizza e il tiramisù

15 Nov

Quando ormai avevo capito che avrei vissuto fuori dall’Italia ho dovuto decidere dove. Ammetto che nella scelta di Tokyo ha pesato moltissimo la comodità del trovare gli ingredienti per cucinare i piatti italici. Nei supermercati si trovano i pelati in scatola, la pasta, spesso i formaggi, l’olio extravergine di oliva, l’aceto balsamico, addirittura l’acqua frizzante italiana, e il tutto a prezzi non esagerati (anzi a volte molto economici, il che getta un’ombra sul sistema distributivo italiano. Ma ne parleremo un’altra volta, affezionati lettori). Poi se a uno non va di cucinare, Tokyo se ne cade di ristoranti italiani. Molti sono discutibilissimi, alcuni tremendi, ma se ne trovano tanti veramente ottimi. I giapponesi di sapore ne sanno. E poi le pizzerie. Recentemente va di moda la pizza consumata in piedi, mentre si beve il vino. Ma attenzione, non parlo di pizza al taglio, magari riscaldata o, peggio, schifezze surgelate, no. Pizze tonde lievitate come si deve, cotte in forno a legna e servite càvere càvere. Da qualche parte ho letto che fino a qualche decennio fa a Napoli esistevano delle pizzerie in cui ci si metteva a un tavolo di marmo e si mangiava così, bello e buono. Credo che alcuni locali di Tokyo abbiano proprio questa atmosfera, lontano dall’indurimento di sedersi a un tavolo apparecchiato con la tovaglia. Solo pizze a ripetizione, fino a che si ha fame.

E poi il boom delle ultime settimane: il tiramisù del combini. Costa 180 Yen Giapponesi e, in fede mia, è buonissimo. Certo, va bene, non è quello di Pompi, quello che faceva la nonna o quello che prepara la fidanzata con le uova della campagna, ma è un prodotto industriale ottimo ed economico che Pesceriso ha provato in anteprima per voi. È stato necessario un agguato pomeridiano perché di solito come viene posato sugli scaffali è spazzolato da torme di clienti in astinenza da cremamascarponesavoiardicaffé.

Onôr e no vergogne

8 Nov

Non sono un tipo eccessivamente nostalgico, e neanche purosangue, ma ultimamente mi manca molto la lingua friulana e tutto il mondo che si porta dietro. È facile rimpiangere posti spudoratamente belli, magari dove c’è il mare, le città d’arte, il clima dolce, invece il Friuli ha delle delizie nascoste, che spesso saltano fuori in autunno. Giunti in questa stagione di solito comincio a pensare alle montagne, alla vendemmia, al salamp e formadi, poi alis cjastinis, alla ribolla e ai tagli nelle osterie sotto natale.
Proprio quando mi trovavo in questo stato d’animo, due giorni fa mi è capitato di incontrare una mia vecchia conoscenza: il professor Shinji Yamamoto. Lo conobbi circa quattro anni fa tramite un suo studente e mio amico, al dipartimento di italianistica di una bella università di Tokyo. Il professor Yamamoto è, per quanto io ne sappia, l’unica persona capace di parlare friulano per averlo studiato sui libri. Infatti è precisissimo nella grammatica ed erudito nel vocabolario. Tra di noi non abbiamo mai parlato in italiano, solo nella marilenghe che depurata delle bestemmie ha un che di birra analcolica. Adesso che ci penso il professor Yamamoto è l’unica persona che conosco non nata nella patria del Friuli che possa parlarne la lingua, nemmeno mio padre che ci vive da 35 anni la sa veramente. Il sensei mi ha detto che ultimamente non ha occasione di usarla, e io ho pensato che potremmo fare degli incontri a tema, come delle ripatriate; per adesso ci vedremo la settimana prossima a una conferenza sui dialetti slavi della Val di Resia. Prima di venire qui pensavo che arrivare a parlare in friulano con un giapponese fosse la cosa più surreale immaginabile, adesso che sono arrivato a questo punto attendo con impazienza quello che la vita mi presenterà.

Aki che vuol dire autunno

2 Nov

È da un po’ che non aggiorno il blog, ma purtroppo sono stato molto impegnato a godermi queste ultime meravigliose giornate autunnali. Chi abita in Giappone impara ben presto che dopo l’estate finalmente si respira, la luce diventa gentile e carezzevole, l’aria si asciuga fino a diventare quasi croccante e in definitiva si sta benissimo.
Le ultime settimane sono state quasi anacronistiche per il tipo di tepidità e io le ho utilizzate per godermi delle lunghe ore all’aria aperta in parchi e giardini. Quello che mi è piaciuto è stato vedere che quasi tutti condividono il senso di gratitudine per il regalo atmosferico e vogliono condividere questo buonumore con il prossimo. Tutto questo si traduce in bottoni attaccati per strada fra sconosciuti, chiacchiere disimpegnate con chiunque.
Poi sono andato ad Asakusa in bici, lo faccio spesso nei giorni infrasettimanali in cui non lavoro, e mi piace guardare la gente che visita il tempio, più che le costruzioni in sé. Questa volta c’erano molte gite scolastiche, turisti cinesi e alcuni gruppi di anziani che ho scoperto venire dai sobborghi di Tokyo.
Alla fine di questo post non so bene che cosa volevo scriverci, quindi in definitiva vi lascio in compagnia delle mie foto che trovate qui.