E’ impossibile figurarsi il Giappone senza l’estrema ingenerosità della sua natura. Adesso, ad esempio, stiamo aspettando il tifone numero 12 che da giorni si sta avvicinando da sud, ma ha una velocità molto più bassa di quello che ci si aspettava, e questa cosa fa crescere la preoccupazione. Il tifone può significare piogge torrenziali, smottamenti, frane, alluvioni, straripamenti. Niente da fare, si aspetta, ci si prepara, si spera.
E a proposito di disastri, oggi ricorre l’anniversario del grande terremoto del Kanto del 1923 ed è tradizionalmente il giorno delle esercitazioni e della prevenzione.
Alla televisione hanno fatto vedere una simulazione in motion graphic di come apparirebbe Tokyo se colpita da un terremoto superiore al sesto grado: treni rovesciati, gente in fuga, morti per le strade, incendi fuori controllo, panico e disperazione. Tutto reso in modo realistico e con stime di morti e feriti.
Confrontandosi con questo tipo di approccio si capisce chiaramente quanto, volenti o nolenti, siamo figli della nostra cultura: la cultura del fatalismo, della paura preventiva, quasi superstiziosa, e della disperazione dopo. Invece per questi isolani si tratta di fare il possibile, prima e dopo, per evitare i danni, in modo quasi distaccato.
Tra le varie iniziative, oggi la polizia stradale alle nove di mattina e per 10 minuti ha interrotto il traffico stradale in 97 punti nevralgici della città, per valutare le conseguenze in caso di disastro. L’11 marzo uno dei problemi principali è stato che i mezzi di soccorso non riuscivano a passare a causa degli ingorghi onnipresenti, quindi è importante, nel caso, creare delle corsie preferenziali. Molti autisti non erano a conoscenza di questa disposizione, ma pare che tutto sia andato bene.
Pensarci prima può suonare jettatorio, ma tutto sommato è meglio, no?