Archivio | febbraio, 2011

la mostra fotografica

26 Feb

Il suo nome si traduce con “luce del sole” ed è conosciuto per le foto fatte a Tokyo dopo i mostruosi raid aerei della seconda guerra mondiale. Probabilmente le sue sono state le uniche immagini che documentano quel disastro, visto che durante il conflitto era proibito ai civili far scattare l’otturatore. Ishikawa Kouyou era un poliziotto della questura di Tokyo, e visto che aveva aveva una Leica e sapeva come usarla, era diventato fotografo, l’unico autorizzato a ritrarre la guerra in città.
Fino al mese prossimo a Shinbashi c’è una mostra molto gustosa di Ishikawa Kouyou alla vecchia stazione di Shinbashi che, trasformata in un museo, già da sola varrebbe la visita.
Le foto raccolte sono bellissime e per lo più allegre: raccontano la vita quotidiana e l’umanità nell’era Showa. Si nota che a Kouyou san piaceva molto Ginza, la gente, i bambini e la vita, forse proprio perché dopo che ti hanno raso al suolo la città non hai voglia o tempo di deprimerti. In alcune foto si vedono pezzi della città che percorro quotidianamente, e in certi casi riconosco degli elementi urbani come un ponte o una stazione, altre volte Tokyo è cambiata troppo  anche solo per fare dei paragoni. In ogni caso alcune scene sono commoventi, perché presentano la vita e la città così come erano, in un flusso fermo solo per caso nel fotogramma.
Penso di aver trovato una cosa che mi piace di alcuni fotografi giapponesi: lo spirito documentarista. Guardando la foto non si nota chi l’ha fatta, ma il fotografo si offre come occhio ausiliario di chi lì non è potuto esserci. E’ uno spirito altruistico, che impone la “creatività” il meno possibile e, appunto, documenta.

D’altra parte per scrivere la parola fotografia, in giapponese, bisogna usare il carattere che significa “realtà”.

← La stazione centrale di Tokyo: l’unico edificio rimasto quasi identico da allora.

Adesso è in ristrutturazione, quando sarà pronta arriverà ai tre piani che aveva nell’anteguerra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui come arrivarci.

 

 

 

Il seme della vita

24 Feb

Avete mai mangiato qualcosa di simile?

Si capisce di cosa si tratta?

Sono le sacche spermatiche del merluzzo. In giapponese TARA NO SHIRAKO, che significa bambino bianco.

E’ proprio vero che del pesce non si butta niente, qui in Giappone. Anche se il lattume di tonno si mangia anche in sicilia.

Purtroppo nel Mediterraneo non si trova il merluzzo, quindi niente shirako. Qui lo si mangia dopo averlo sbollentato e lo si condisce con salsa di soia e succo di ponzu (un agrume). E’ buono e cremosissimo.

Come l’augello in selva alla verzura

23 Feb

In Italia massacriamo troppo le verdure. A volte ho l’impressione che il terrore del cibo crudo ci faccia spappolare troppo gli ingredienti che andrebbero già bene.
Non voglio entrare in argomento sushi, sashimi e altro pesce crudo (almeno non adesso), ma anche solo limitandosi alle verdure si può imparare moltissimo dalla cucina giapponese. Ad esempio, qui quasi tutti amano i broccoli quando sono ancora abbastanza scrocchiarelli, li fanno bollire pochissimo (tuffandoli poi nell’acqua e ghiaccio per far rimanere vivo il colore verde) e via. Chiaramente la cucina italiana per quanto riguarda gli ortaggi spacca e siamo tutti d’accordo, ma ogni tanto mi sembra che qualche cosa delle varie consistenze si perda. Ad esempio, quando posso evito di bollire, anche perché vedere sparire quell’acqua verdina che mi sembra ricca di bontà mi sembra uno spreco. Quindi quasi tutto in padella e per non troppo tempo; e se ci sono delle parti dure edibili, magari una botta di cottura al vapore prima. E’ vero che le verdure italiane sono, in genere, più saporite di quelle che si trovano qui (Tokyo poi è un caso quasi disperato), ma accorciare i tempi di cottura mi sembra un esperimento sempre interessante per svelare il vero sapore di quello che si mangia.
Oggi ho preparato la pasta con le cime di rapa.

 

Avviso ai napoletani: se venite a Tokyo tranquilli che i friarielli si trovano e sono molto buoni, invece le salsicce tocca portarsele.

manga

22 Feb

Solitamente non leggo i fumetti, ma per una serie di questioni recenti ho pensato di acculturarmi in campi che finora avevo trascurato. Oggi lavoravo a Ikebukuro, patria di enormi librerie che mi piace frequentare. Non ero mai entrato nella sezione dei manga, però, anche perché sono le uniche pubblicazioni che non si possono sfogliare senza comprarle. I libri, le riviste non sono icellofanati, anzi sono lì a mo’ di biblioteca e ci si possono passare pomeriggi interi. C’è una libreria alta 8 piani, a Ikebukuro, il cui piano terra è occupato completamente da riviste. Di ogni tipo. Dal feticismo per i treni, ai modellini, alle riviste di recensioni degli ultimi prodotti per la casa. Vabè, tutto questo per dire che ho scoperto l’entità del fanatismo per i fumetti BL. Il settore manga delle librerie di Ikebukuro è intasato da questo sottogenere.
Cosa significa BL? Dai, è facile, Boys Love. Sono dei fumetti i cui i protagonisti sono uomini, ragazzi, che sono omo. Cioè, non è che loro lo siano di per certo: o non lo sanno, o non vogliono ammetterlo, ma in realtà sono più che amici con i loro amici, e si cacciano in una serie di situazioni un sacco ambigue e romanticissime. La cosa bella è che i BL sono letti unicamente dalle ragazze che, mi diceva una che ho conosciuto recentemente, ci si arrapano. Quindi per attirare una ragazza sarebbe meglio avere una storia col proprio migliore amico, deduco.
Dopo tutti questi pensieri oziosi decido che se non proprio un BL, mi conviene aggiornarmi sulla letteratura fumettistica e alla fine compro un manga demenziale di quelli con le cacche per strada.

ufficio comunale con vista

17 Feb

 

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sanva

16 Feb

La prima volta le volevo prendere da parte e dire: “no, guarda, forse hai equivocato, per me è solo un’amicizia e tale vorrei che rimanesse”, ma poi ho capito che è l’uso, anzi, un obbligo. Il 14 febbraio le donne giapponesi devono regalare la cioccolata agli uomini che le circondano, principalmente colleghi e ai superiori. Poi per riequilibrare c’è il 14 marzo, white day, in cui i maschi dovrebbero restituire il favore, ma secondo me non lo fa quasi nessuno.
Lunedì non avevo impegni, non ho incontrato donne, quindi ho scampato la cerimonia del girichoko (giri significa obbligo sociale, tipo, e choko significa ciocco) e mi sono sentito sollevato, ma il giorno dopo suonano alla porta. E’ la moglie del padrone di casa, quindi la padrona di casa, che abita col marito, il padrone di casa, al quinto piano dello stabile. Apro la porta e la vedo che ha in mano delle piantine in vaso. Mi dice che sabato ci saranno dei lavori idraulici e se posso stare a casa per aprire agli operai. In cambio mi regala ‘ste piantine di prezzemolo e basilico che, dice, nonostante la stagione le vendevano al supermercato del quartiere. Le avevo notate anche io, infatti. Il fatto è che tra me e la padrona di casa c’è una storia di basilico che va avanti dall’estate scorsa, quando in partenza per l’Italia le avevo chiesto se poteva annaffiarmi la coltivazione del terrazzo. Lei era stata contentissima di farlo e al mio ritorno avevo trovato un albero ad alto fusto. In cambio le ho regalato del pesto fatto col medesimo basilico e tutti contenti. Ecco, adesso mi restituisce il contenitore del pesto, lavato, con dentro dei cioccolatini a tradimento. E si scusa pure di essere in ritardo, la signora.
Non si sfugge al sanvalentinogiapponese.

latteo

14 Feb

Quando arriva il freddo, mi piace molto guardare la divisa dei capistazione delle linee JR. Hanno un pastrano doppiopetto che mi ricorda violentemente il controllore del treno che c’era nel cartone animato Galaxy Express. Penso che il disegnatore Matsumoto Leiji si sia ispirato ai veri ferrovieri, ma questa è una mia idea. Tra l’altro non so quasi niente di manga e cartoni giapponesi perché a casa mia la tele non prendeva i canali che li trasmettevano, quindi anche quello del treno (che in giapponese si chiama 銀河鉄道999) lo vedevo quando andavo a giocare dai miei amici il pomeriggio.
Era un cartone parecchio triste, che poi ho scoperto essere ispirato da un romanzo di Miyazawa Kenji che si chiama Una notte sul treno della via lattea(銀河鉄道の夜 , Ginga Tetsudou No Yoru, in Giapponese).  Il libro è bello, vaga in un’atmosfera sognante e, a suo modo, “on the road”. La cosa che mi colpì di più leggendolo fu che a un certo punto i viaggiatori sentono provenire dagli astri la sinfonia dal nuovo mondo di Dvorak. Quanto doveva sembrare aliena al Miyazawa quella musica per farla risuonare nello spazio.
Tutto questo l’ho pensato oggi tornando a casa, sotto la neve e la pioggia, e ho cercato di vedere se i capistazione avevano la faccia o una zona rincagnata scura da cui escono solo gli occhi luminescenti.

e uno.

13 Feb
湯たんぽ

Una cosa che potrebbe sorprendere chi viene in Giappone è la temperatura delle case. Quando mi sono trasferito qui in inverno non potevo credere alla quantità di spifferi che penetrava nella mia camera, il cui unico sistema di riscaldamento era un condizionatore di quelli che sparano aria secchissima che si raffredda immediatamente. Sono poi passato a un bruciatore a kerosene che aveva la comodità di scaldare il bricco dell’acqua per il tè, ma diffondeva una persistente e insopportabile puzza di distributore. Oltre a rischiare l’incendio del pavimento di tatami.
Sembra strano, ma il sistema migliore per dormire al caldo è la borsa dell’acqua calda, abbastanza di moda anche oggi. Il problema è che la versione giapponese è fatta di metallo, risulta rovente e va avvolta in un panno che una volta è scivolato via nottetempo e mi ha provocato una ustione sul malleolo che conservo ancora oggi, a distanza di anni.
Recentemente mi hanno regalato la borsa dell’acqua calda definitiva: è di ceramica. E’ molto bella e comoda, pesa una cifra e mi fa pensare al “modòn” friulano: un mattone arroventato nelle braci e avvolto in una coperta prima di andare a dormire.
Ecco, volevo cominciare ‘sto blog con un oggetto che per me rappresenta il paese in cui vivo.